Articolo di Commento: Corte di Cassazione, Sentenza, sez. III Civile n. 22888
IL FATTO
La paziente straniera si era recata al pronto soccorso a causa di una ferita alla gamba causata da una catena. Fu medicata e suturata previa anestesia locale, disponendo, come da referto, la “regolarizzazione della posizione antitetanica al distretto ASL”.
L’antitetanica non fu somministrata in quanto il medico non riuscì a farsi comprendere nella lingua della paziente e non riuscì a farsi rilasciare il necessario consenso informato.
La somministrazione avvenne il giorno seguente presso l’ASL di Monza e Brianza, che però era sprovvista della necessaria contestuale terapia immunoglobulinica, finalizzata ad evitare l’infezione tetanica poi effettivamente intervenuta nelle giornate a seguire. Il ritardo terapeutico comportò l’invalidità permanente della paziente.
La paziente straniera con il marito ed i figli convennero in giudizio l’Azienda Socio-Sanitaria Territoriale e l’Agenzia Territoriale della Salute ed i medici di una struttura della Brianza.
IL TRIBUNALE E LA CORTE D’APPELLO
Il Tribunale di Monza accolse la domanda risarcitoria, per contro la Corte di appello di Milano riformò la decisione, osservando che a fronte dello specifico fattore di rischio di shock anafilattico, il medico del Pronto Soccorso non avendo potuto ottenere il consenso informato dalla paziente, nonostante tentativi posti in essere per quasi un’ora cercando pure di sollecitarla a farsi raggiungere da parenti, sia per incomprensioni linguistiche sia perché la stessa era affetta da decadimento cognitivo, invitò quest’ultima alla regolarizzazione della vaccinazione il giorno successivo presso l’azienda sanitaria.
Il fatto che la paziente non fosse riuscita ad esprimere il consenso al medico del pronto soccorso, secondo la Corte d’Appello, equivale a libera scelta di non proseguire con il completo trattamento terapeutico.
RICORSO IN CASSAZIONE
La Cassazione ha evidenziato un’evidente contraddizione nella precedente sentenza: per un verso era stata affermata l’impossibilità, in specie per ragioni linguistiche, di ottenere il consenso informato, e per altro verso era stata effettuata anche l’anestesia e altre cure che avrebbero imposto il dialogo con il medico.
Si era poi finiti per addebitare alla paziente il ritardo ovvero la scelta di non completare la profilassi. In realtà la corte rileva che idonee indicazioni specifiche che avrebbero dovuto essere contenute nel referto, erano mancanti: queste ultimi avrebbero permesso di rendere manifeste le necessità non solo ai familiari della paziente, ma anche a ogni altro medico cui la stessa si fosse rivolta.
La Cassazione ha considerato la condotta dei sanitari come negligente, perché se vi fosse stata un’assoluta impossibilità di farsi comprendere, la difficoltà avrebbe dovuto impedire pressoché ogni cura. (non risulta inoltre spiegato come si possa conciliare con il consenso informato pacificamente acquisito in occasione della vaccinazione effettuata il giorno successivo.)
IL CONSENSO INFORMATO
Il consenso informato è un iter medico paziente e costituisce tempo di cura. Questo, per poter essere valido, deve essere preceduto da una fase di informazione propedeutica e necessaria.
L’informazione deve essere cucita su misura, considerando il livello culturale e la condizione psicofisica del paziente e deve essere comprensibile. La comprensibilità sicuramente è una delle problematiche che riguarda le cure dei pazienti stranieri, ma anche di altri soggetti affetti da deficit sensoriali.
Il caso dimostra come la mancanza di strumenti adeguati per la comunicazione possa portare a gravi conseguenze per il paziente, costi legali per i medici e le strutture sanitarie, e oneri sociali ed economici significativi.
Garantire una idonea informazione a tutti i cittadini è una delle sfide della sanità, sicuramente facilitata dall’avanzamento tecnologico.
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