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RESPONSABILITÀ SANITARIA E CONSENSO INFORMATO



RESPONSABILITÀ SANITARIA: obbligo di informare il paziente con esclusione dei rischi eccezionali ed improbabili.

Autori: Martina Bianco ( Legal Consultant), Federica Lerro ( Founder & Name Partner), Claudio Plebani ( Name Partner)

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PREMESSA NORMATIVA

L’Ordinamento tutela il bene primario dell’integrità fisica: questa tutela trova supporto nell’assunto civilistico secondo il quale gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionano una diminuzione permanente della integrità fisica o quando siano contrari alla legge all’ordine pubblico o al buon costume.

A conferma della natura primaria dell’integrità fisica, la Carta Costituzionale sancisce che nessuno può essere obbligato ad un trattamento se non per obbligo di legge. Dal momento che l’attività medica non può essere espletata senza violare l’integrità fisica della persona, per legittimare la violazione e pertanto il trattamento medico, è necessario che il paziente acconsenta a sottoporsi al trattamento: si parla di consenso informato al trattamento medico. Attraverso il consenso informato il paziente esercita il diritto di autodeterminazione : l’informazione rappresenta il presupposto ineliminabile affinché́ il singolo possa esercitare liberamente il suo diritto e fornire il consenso al trattamento.

Il diritto/obbligo informativo, inoltre, trova sua espressa disciplina nel Codice Deontologico che prevede che il medico debba garantire alla persona assistita o al suo rappresentante legale un’informazione comprensibile ed esaustiva sulla prevenzione, sul percorso diagnostico, sulla diagnosi, sulla prognosi, sulla terapia e sulle eventuali alternative diagnostico-terapeutiche, sui prevedibili rischi e complicanze e sui comportamenti che il paziente dovrà̀ osservare nel processo di cura. Per di più, il medico deve adeguare la comunicazione sulla base della capacità di comprensione della persona assista o del suo rappresentante legale, fornendo tutti i chiarimenti necessari e tenendo conto dei fattori soggettivi (come per esempio sensibilità e reattività emotiva).

Fra le fonti del dovere informativo si può annoverare la Convenzione di Oviedo del 1997, poi ratificata dalla L. 145/2001, con la previsione di due tipologie di obblighi informativi in capo all’operatore sanitario, ossia quello relativo al trattamento medico, quale presupposto ineliminabile per l’acquisizione del consenso al trattamento; e quello relativo allo stato di salute, secondo il quale ogni persona ha il diritto di conoscere ogni informazione raccolta sulla propria salute.

La Legge Gelli ha confermato l’obbligo di informazione in capo all’esercente la professione sanitaria e il relativo diritto del paziente a conoscere la propria condizione di salute e a essere informata. Il legislatore indica espressamente le peculiarità e l’oggetto dell’informazione che deve essere fornita al paziente: l’informazione deve essere completa, aggiornata e comprensibile e deve riguardare la diagnosi, la prognosi, i benefici e rischi degli accertamenti diagnostici e dei trattamenti sanitari, le possibili alternative e le conseguenze di un eventuale rifiuto o rinuncia. Fermo quanto sopra, si può affermare che l’obbligo informativo trova fondamento in molteplici fonti primarie e secondarie, nazionali ed internazionali.

La rilevanza del tema ha portato il legislatore all’introduzione di una specifica legge in materia di consenso informato, la L. 219/2017, al fine di garantire una disciplina legislativa ad una tutela che era stata prevalentemente garantita dalla sola giurisprudenza. La previsione normativa introduce espressamente l’obbligo per l’esercente la professione sanitaria di fornire un’informazione completa, aggiornata e comprensibile sulle condizioni di salute, sulla diagnosi, prognosi e sui possibili trattamenti terapeutici ( compresi i rischi se prevedibili) e le alternative possibili.

Sebbene l’informazione mantenga la propria autonomia giuridica, è strumentale rispetto alla corretta formazione della volontà̀ del paziente dal momento che solamente essendo correttamente informato lo stesso potrà esercitare il diritto di autodeterminazione: pertanto in presenza di un’informazione incompleta la volontà risulta essere viziata. Sia in caso di assenza di consenso che in caso di consenso presente, ma prestato a seguito di informazione ritenuta incompleta, si verifica una lesione del diritto.

Se in un primo indirizzo giurisprudenziale, l’obbligo sussisteva solamente nel caso in cui fosse in serio pericolo la vita o l’incolumità fisica del paziente; oggi la giurisprudenza afferma espressamente che l’obbligo sussiste non solo in relazione ad interventi particolarmente invasivi o complessi, ma sussiste in relazione ad ogni attività medica, sia essa diagnostica o terapeutica, che possa comportare un qualunque rischio. Nella giurisprudenza sono numerose le pronunce in cui viene ribadita l’autonomia dell’obbligo nel rapporto medico-paziente.


LA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI CONSENSO INFORMATO: MANCATA O INSUFFICIENTE INFORMAZIONE


Nella sentenza n. n. 15723/2022 la Suprema Corte di Cassazione si è pronunciata ribadendo quanto già in precedenti pronunce affermato (Cass. Sez. 3, ord. 4 novembre 2020, n. 24471, Rv. 659760-01; Cass. Sez. 3, sent. 11 novembre 2019, n. 28985): l'inadempimento dell'obbligo di acquisire il consenso informato del paziente assume diversa rilevanza causale a seconda che vi sia la violazione del diritto all'autodeterminazione o la lesione del diritto alla salute.


In caso di violazione del diritto del paziente di autodeterminarsi, l'omessa o insufficiente informazione preventiva evidenzia un nesso causale diretto con la compromissione dell'interesse del paziente all'autonoma valutazione dei rischi e dei benefici del trattamento sanitario.

Per contro, in presenza di lesione del diritto alla salute, “ l'incidenza eziologica del deficit informativo sul risultato pregiudizievole dell'atto terapeutico correttamente eseguito dipende dall'opzione che il paziente avrebbe esercitato se fosse stato adeguatamente informato ed è configurabile soltanto in caso di presunto dissenso, con la conseguenza che l'allegazione dei fatti dimostrativi di tale scelta costituisce parte integrante dell'onere della prova - gravante sul danneggiato - del nesso eziologico tra inadempimento ed evento dannoso.” Secondo la Corte però “Ciò non esclude comunque che, anche qualora venga dedotta la violazione del diritto all'autodeterminazione, sia indispensabile allegare specificamente quali altri pregiudizi, diversi dal danno alla salute eventualmente derivato, il danneggiato abbia subito, dovendosi negare un danno in re ipsa. “


Nel caso specifico sottoposto all’attenzione della corte, marito, moglie e figlia avevano riferito che la paziente sarebbe stata inutilmente sottoposta - in ragione dell'errata diagnosi di una neoplasia maligna alla testa del pancreas - ad un intervento chirurgico di natura demolitoria (duodenopancreasectomia), in assenza di evidenze che confermassero tale ipotesi diagnostica. Ne' gli esami istologici preliminari, ne' quelli estemporanei eseguiti nel corso dell'operazione chirurgica rivelavano la presenza di cellule cancerose maligne, evidenziando, piuttosto, l'esistenza di "tessuto granulomatoso". (Circostanza compatibile con una tubercolosi pancreatica, anch'essa mai diagnosticata con certezza alla donna, neppure nel corso degli accertamenti e trattamenti successivi a quello per cui e' causa).


I ricorrenti lamentavano inoltre l'insussistenza della patologia tumorale maligna ( condizione che fu successivamente confermata a seguito dell’esame istologico compiuto compiuto sul materiale prelevato all'esito dell'operazione chirurgica) avrebbe potuto essere accertata attraverso la c.d. "diagnosi differenziale" (vale a dire, coinvolgendo tutti i professionisti medici interessati: gastroenterologo, infettivologo, anatomopatologo e oncologo), il che avrebbe permesso di escludere la necessita' dell'intervento demolitorio, bastando procedere solo con un trattamento antitubercolare.


In particolare all'esito di tale intervento (non solo rivelatosi inutile, ma neppure correttamente assentito dalla paziente, essendogli stata omessa l'informazione relativa alla possibilita' della "diagnosi differenziale"), la paziente aveva sviluppato una "dumping syndrome", post intervento di resezione chirurgica, caratterizzata da magrezza, turbe dell'alimentazione e di tutte le fasi della digestione.


Le richieste erano state respinte sia in primo grado che in appello. La corte di Cassazione ha nuovamente respinto le richieste dei ricorrenti: in riferimento alla violazione dell’obbligo di consenso informato e alla lesione del diritto della paziente di autodeterminarsi, i ricorrenti avevano invocato quali conseguenze risarcibili quelle costituite da "stato ansioso, facile irritabilita', logorrea, stato di diffidenza, iposonnia, idee ricorrenti con fobia, relazioni familiari compromesse e pensieri ricorrenti del suo vissuto clinico", giacche' esse risultano rilevanti sempre sul piano del benessere psico-fisico della paziente, e quindi della compromissione del (diverso) diritto alla salute.


In riferimento all’ipotesi che il paziente se correttamente informato non si sarebbe sottoposto al trattamento, la sentenza della Corte di Cassazione n. 37725/2022 introduce un’altra situazione che potrebbe comportare la lesione del diritto del paziente di autodeterminarsi. Secondo la Corte “ove l'atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento del danno alla salute per la verificazione di tali conseguenze, solo ove sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento, ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze (e sofferenze).”

La sentenza precedentemente richiamata fa riferimento ad “effetti pregiudizievoli non imprevedibili”, per contro una precedente ordinanza della Corte di legittimità (Cass. 27112/2021) aveva statuito che “ il consenso informato va acquisito anche qualora la probabilità di verificazione dell'evento sia così scarsa da essere prossima al fortuito o, al contrario, sia così alta da renderne certo il suo accadimento, poiché la valutazione dei rischi appartiene al solo titolare del diritto esposto e il professionista o la struttura sanitaria non possono omettere di fornirgli tutte le dovute informazioni”


LA RECENTE ORDINANZA: ESCLUSIONE NELLA FASE INFORMATIVA DELLE COMPLICANZE ECCEZIONALI E ALTAMENTE IMPROBABILI.

Alla luce di quanto indicato nell’Ordinanza precedentemente citata, appare decisamente innovativa la recente pronuncia della Corte di Cassazione n. 16633 del 12 giugno 2023 secondo cui “Il medico, prima di eseguire un trattamento sanitario, deve informare il paziente su tutti i rischi prevedibili, compresi le complicanze statisticamente meno frequenti e con esclusione soltanto di quelle eccezionali e altamente improbabili.”

Nel caso sottoposto alla valutazione della Corte di legittimità il paziente aveva chiesto la condanna dell’azienda sanitaria al risarcimento dei danni fisici, deducendo un errore nell’esecuzione di un intervento chirurgico di asportazione di un’ernia discale, oltre a una ulteriore posta risarcitoria per la violazione del diritto all’autodeterminazione dal momento che il consenso che aveva prestato non aveva tenuto conto – dal momento che non era avvenuta l’informazione - dell’eventuale insorgenza, all’esito dell’intervento, di una seria sintomatologia dolorosa (poi effettivamente manifestatasi).

Il Tribunale di Trento aveva respinto entrambe le domande, mentre la Corte d’appello aveva riconosciuto fondata la sola pretesa risarcitoria per la violazione degli obblighi in tema di consenso. L’azienda sanitaria, a seguito della pronuncia sfavorevole della Corte d’Appello, aveva proposto ricorso in Cassazione.

La Corte di Cassazione ha confermato la sentenza d’appello, precisando che, nel caso esaminato, il danno risarcibile derivava proprio, e solo, dalla violazione del diritto all’autodeterminazione del paziente in sé e per sé considerata. Il danno consisteva nella sofferenza di carattere morale causatagli dalla «sorpresa e impreparazione» derivante dagli esiti inattesi dell’intervento (anche se eseguito correttamente) e non da un pregiudizio al bene salute.


Inoltre, il personale sanitario ha l’obbligo di” informare il paziente su tutti i rischi prevedibili, compresi le complicanze statisticamente meno frequenti e con esclusione soltanto di quelle eccezionali e altamente improbabili.”

Nella fase di merito davanti al Tribunale di Trento, una Consulenza Tecnica d’Ufficio aveva accertato che "la formazione di fibromi aderenze chirurgica in caso di interventi quali quello per cui è causa a un'incidenza statistica bassissima, pari al 5%".

In presenza del dato medico-legale, la Corte di Cassazione ha ritenuto che "nella specie non risulta che la complicanza verificata sia stata considerata, anche dai consulenti, eccezionale o altamente improbabile, essendo piuttosto ad essa assegnata una percentuale di verificazione (5%) bensì bassa ma tuttavia non a tal punto da potersi qualificare nei termini anzidetti".

La Corte ritiene che l'incidenza statistica della ricorrenza della complicanza non assuma valore in ordine al giudizio dei confini minimi dell’informazione: l’informazione, infatti, deve comprendere - secondo la Corte - tutte le informazioni correlabili alla prestazione sanitaria "la cui possibile verificazione sia comunque nota nella letteratura medica e come tale prevedibile, ancorché quale conseguenza di bassa frequenza statistica".

La Suprema Corte ha ritenuto che una percentuale di verificazione del 5% non possa far considerare la complicanza come "eccezionale" o "altamente improbabile" (come aveva dichiarato l’azienda sanitaria).

Ciò porta a delle riflessioni in relazione a quale possa essere la minore soglia statistica al di sotto della quale una complicanza possa davvero ritenersi eccezionale tale da non dover essere oggetto di informativa.

Più si abbassa tale soglia più il modello di consenso, e la fase informativa in via complessiva, dovrà ampliarsi nel contenuto, ponendo qualche problema di agevole fruibilità da parte del paziente, nonché delle problematiche in capo al medico e alle strutture sanitarie che dovranno riferire nella fase informativa tutte le informazioni note nella letteratura medica e pertanto prevedibili, anche se poco frequenti. Questa problematica viene ampliata dalla mancanza di parametri accertativi della definizione di “eccezionale” o “altamente improbabile”: la bassa (anzi “bassissima” come definita dai ctu) ricorrenza della complicanza non permette di escluderla dall'obbligo informativo. Cosa comporta? Grandi spazi di incertezza che rendono indefinito e poco comprensibile il limite della fase informativa e una insicurezza per il personale sanitario che non potrà quasi mai aver contezza o sicurezza di avere correttamente informato il paziente.




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