RESPONSABILITÀ SANITARIA: l’onere della prova va modulato sulla scomposizione del ciclo causale in due elementi
Trib. Reggio Emilia, sentenza n. 188/2022
Avvocato: Studio Legale Lerro-Plebani & Associati
Articolo di commento: Dott.ssa Martina Bianco
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PREMESSA E INTRODUZIONE AL NESSO CAUSALE
“La causalità, in quanto tale, è una relazione stabilita dall’uomo a posteriori fra due fatti, e non una categoria a priori, oggettivamente accertabile: con la conseguenza che detto nesso non è provabile perché costituisce l’oggetto di un ragionamento deduttivo non un fatto materiale” (Cass, 20.2.2018, n.4020) La definizione di nesso di causalità fornita dalla Cassazione ci permette di comprendere la difficoltà nell’associare con assoluta certezza un effetto ad una causa. Nell’ambito sanitario la ricerca viene "complicata" dalla natura dell’attività: la peculiarità degli atti medici è quella di comportare necessariamente un’alterazione fisiologica al paziente. Da un punto di vista codicistico, il codice civile, a differenza del codice penale, non offre nessuna definizione di causalità: ci si è posti, pertanto, il problema dell’eventuale trasmigrazione in ambito civile della causalità penale. La causalità penale richiede un accertamento estremamente rigoroso in termini di probabilità penale, si basa infatti, sulla necessità di accertare la responsabilità del soggetto al di là di ogni ragionevole dubbio. A seguito della cd Sentenza Franzese, la Corte di Cassazione, in un primo momento, ha accolto l’interpretazione secondo la quale in sede civile valgono gli stessi principi penali, in quanto il criterio della probabilità logica conferisce maggiore certezza rispetto a quello della probabilità statistica. La posizione però fu abbandonata con la Sentenza della Suprema Corte n.2169 del 16 Gennaio 2007, in cui fu stabilito che il concetto di causalità civile non può coincidere con quello penale dal momento che - in ambito penale - vige la probabilità relativa, mentre nel processo civile la regola del “più probabile che non”. Questo orientamento fu definitivamente recepito dalle Sezioni Unite, in una sentenza in tema di responsabilità medico-sanitaria in ambito di danno da emotrasfusioni: fu ribadito il concetto di causalità improntato su criteri probabilistici sulla base di regole.
LA VICENDA PROCESSUALE
La controversia in commento trae origine da un intervento di chirurgia estetica relativo a mastoplastica additiva, che la paziente aveva effettuato nel 2011 rivolgendosi al chirurgo: otto anni e mezzo dopo l’intervento, nell’ottobre 2019, la paziente aveva promosso un accertamento tecnico preventivo nei confronti del Professionista e del Centro Medico , deducendo l’esistenza di una colpa medica nell’esecuzione dell’intervento e domandando di quantificare il danno subìto.
Dopo il deposito dell’ATP, la paziente aveva promosso il giudizio di merito chiedendo la solidale condanna al pagamento di un risarcimento, sul presupposto che l’ATP avrebbe confermato l’esistenza di un erroneo intervento di chirurgia di mastoplastica additiva, produttivo di inestetismi derivanti da differenza di forma e volume delle due mammelle.
Il Centro Medico, assistito dall'Avv. Lerro, deduceva l’assenza di colpa medica, sul presupposto che, così come accertato dall’ATP, i modesti inestetismi residuati, integrati da una leggera asimmetria mammaria, erano riferibili ad una complicanza ben descritta nella letteratura scientifica e della quale la paziente era stata adeguatamente informata.
Il collegio peritale, viste anche le difficoltà determinate dal lasso di tempo intercorso fra l'intervento e l'azione mossa aveva concluso che “da un punto di vista chirurgico plastico, non si hanno elementi documentali che ci permettano di affermare che la modesta asimmetria mammaria esistente e la modesta dislocazione verso l’alto e lateralmente della protesi mammaria sinistra siano la conseguenza di un errato allestimento delle tasche sottomuscolari di alloggiamento delle protesi."
[...] Ovviamente tali conclusioni derivano dalla disamina della documentazione in atti e dal quadro mammario rilevato in occasione della visita peritale, ovvero a distanza di circa 9 anni dall’intervento di mastoplastica additiva bilaterale in discussione, non avendo a disposizione alcun documento che attesti la morfologia preoperatoria delle mammelle, né certificati/fotografie che attestino l’evoluzione nel tempo dell’intervento effettuato, dai quali potrebbe emergere un eventuale errore di allestimento"
Pertanto:
- non vi è stata prova che i modestissimi inestetismi siano riconducibili a colpa medica
- la leggera dismorfia rilevata potrebbe essere riconducibile ad una contrattura capsulare, ossia ad una complicanza prevedibile ma non prevenibile. Su detto evento è stato inoltre raccolto un adeguato consenso informato.
La domanda della paziente veniva, pertanto, rigettata.
CONCLUSIONI DI DIRITTO
Con la sentenza n. 188/2022, è stato affermato che in caso di dedotta responsabilità sanitaria, l’onere della prova va modulato sulla cosiddetta scomposizione del ciclo causale in due elementi: spetta innanzitutto al paziente provare il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico; solo in un secondo momento, laddove il paziente abbia dato prova di tale ciclo causale, il sanitario deve provare il pieno rispetto delle leges artis o comunque delle best practices, evidenziando la causa non imputabile che gli ha reso impossibile fornire la prestazione corrispondente ai canoni di professionalità dovuti. Consegue che, nel caso rimanga incerta la causa del danno lamentato, la domanda risarcitoria del paziente dovrà essere rigettata, non avendo il paziente stesso provato il nesso causale tra l’insorgere della patologia e la condotta del medico.
Fonti che hanno citato la sentenza:
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