Articolo di Commento: Corte di Cassazione Sent. 18/07/2024, n. 29150

La recente pronuncia della Corte di Cassazione sul caso dell'omicidio colposo di una paziente sottoposta a vertebroplastica offre spunti di riflessione in riferimento al tema della responsabilità dei professionisti sanitari e anche in riferimento al ruolo della cartella clinica.
RESPONSABILITÀ SANITARIA
Da un lato, la Suprema Corte ha confermato in modo netto la condanna del chirurgo, riconoscendo pienamente la sua posizione di garanzia nei confronti del paziente anche nella fase post-operatoria: il medico che esegue un intervento non può semplicemente "lavarsene le mani" una volta terminata l'operazione, ma ha il dovere di monitorare attentamente il decorso clinico del paziente e intervenire tempestivamente in caso di complicanze.
La sentenza fa un importante riferimento alle linee guida CIRSE, che prescrivono un attento controllo dei parametri vitali e neurologici del paziente nelle ore successive a un intervento di vertebroplastica. La Corte ha sottolineato come tali raccomandazioni non possano essere disattese sulla base di presunte "regole interne" della struttura sanitaria.
Nel caso di specie, la pronuncia presenta anche alcuni profili di criticità circa il nesso causale fra la condotta omissiva e l’evento morte. Pur avendo riconosciuto la sua responsabilità per non aver tempestivamente disposto gli accertamenti diagnostici necessari (in particolare la risonanza magnetica), i giudici non hanno chiarito in modo sufficientemente articolato se e in quali termini tale omissione abbia effettivamente inciso sull'evoluzione fatale della vicenda. La Cassazione ha pertanto rimesso l’approfondimento al nuovo giudice di merito
CARTELLA CLINICA
Dalla sentenza emergono alcuni elementi rilevanti riguardanti il ruolo della cartella clinica:
1. Valore probatorio limitato: La Corte di Cassazione sottolinea che le attestazioni contenute nella cartella clinica hanno valore di certificazione amministrativa, ma non coprono le valutazioni, diagnosi o opinioni espresse. Quindi la semplice annotazione del "buon decorso post-operatorio" non è sufficiente a escludere l'esistenza di sintomi rilevati dalla paziente.
È pacifico, infatti, che le attestazioni contenute in una cartella clinica hanno natura di certificazione amministrativa, cui è applicabile lo speciale regime di cui agli artt. 2699 e segg. c.c., per quanto attiene alle sole trascrizioni delle attività espletate nel corso di una terapia o di un intervento.
Restano invece non coperte da fede privilegiata le valutazioni, le diagnosi o, comunque, le manifestazioni di scienza o di opinione in essa espresse. Ciò posto, la cartella clinica in atti fa prova fino a querela di falso dei fatti attestati, non già delle valutazioni, quali nel caso di specie “buon il decorso post operatorio”
2. Disallineamento con la realtà clinica: I giudici evidenziano che l'assenza in cartella di annotazioni sui deficit motori e sensitivi manifestati dalla paziente subito dopo l'intervento era dovuta a un erroneo attribuirli agli effetti dell'anestesia, in contrasto con le testimonianze raccolte che ne attestavano la presenza.
3. Obbligo di monitoraggio indipendente:
Nonostante le annotazioni positive in cartella, la Corte ribadisce che il chirurgo operatore aveva comunque l'obbligo di monitorare personalmente o attraverso altri sanitari le condizioni del paziente nel decorso post-operatorio, senza potersi affidare passivamente alle registrazioni della cartella clinica.
CONCLUSIONI:
La sentenza sottolinea come la cartella clinica, pur avendo valore probatorio, non possa essere considerata l'unica fonte di conoscenza delle condizioni del paziente, specie quando emergono elementi di disallineamento con la realtà clinica accertata. Il medico mantiene un dovere di vigilanza e intervento diretto, a prescindere da quanto verbalizzato nella documentazione sanitaria.
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